La vita di Piero Chiara

Durante l’estate, a cominciare dal 1925 e poi per alcuni anni, Chiara soggiorna in Sicilia, a Resuttano, in provincia di Caltanissetta, il paese del padre: un’esperienza con cui si confronterà parecchi anni dopo in occasione di un “ritorno” in quei luoghi e che rievocherà nella prosa Con la faccia per terra, scritta nel 1961 e pubblicata nel 1965, l’indomani della morte del padre.

Nel 1927, quattordicenne, Chiara viene sonoramente bocciato e lascia gli studi. Per qualche tempo, secondando soltanto il suo estro, lavora a Luino, come apprendista presso un fotografo.

Piero Chiara Laureato Poi, per accontentare i genitori, riprende gli studi a Novara, dove frequenta, come allievo esterno del locale Collegio dei Salesiani, l’Istituto Omar. In capo a pochi mesi, però, li interrompe di nuovo, in quanto trova “più piacevole” e più consono al suo spirito indipendente e curioso di tutto, vagare per le strade della città in mezzo alla gente.

Il diploma di “licenza complementare” arriva soltanto nel giugno del 1929, dopo un esame da privatista.

Nel corso di quella che poi definirà la sua “non studiosa adolescenza”, Chiara non trascura per altro di darsi, costruendola in modo discontinuo e irregolare ma già precisamente orientato, una libera, ampia e profonda cultura letteraria.

La sua prima lettura, a quel che ebbe poi a raccontare, fu Collodi e poi, durante la quarta elementare al collegio di Intra, oltre a una serie di “libri edificanti”, lesse un libro di avventure – Nelle Montagne Rocciose – di Ugo Mioni, un emulo cattolico di Salgari, scopiazzatore di Karl May, che lo entusiasmò al punto di leggerlo e rileggerlo più volte e di trascriverlo, a mente, quasi “parola per parola”, in sette quaderni, per averlo sempre a disposizione: un “fatto” che Chiara avrebbe poi raccontato spesso, ripensando con tenerezza a quella ingenua “prova di scrittura”.

Quindi, negli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza, Chiara prende a leggere gli autori italiani e stranieri che trova nella piccola biblioteca di Luino. Legge di tutto, disordinatamente: da Salgari a Verne, da Manzoni a Zuccoli, da Fogazzaro a Pirandello, da London a Stevenson, da Melville a Dostoewskij. Fondamentali, per le tracce che lasceranno poi nel suo modo di raccontare, risultano soprattutto, oltre al Manzoni dei Promessi sposi e a Dostoewskij, il contatto con Boccaccio e la lettura del Lazarillo de Tormes, il romanzo picaresco spagnolo, tutti accostati prima dei vent’anni e poi continuamente riletti. Quanto a Manzoni e a Boccaccio, anzi, Chiara attribuirà loro il suo carattere di narratore “tradizionalista”, che ama cominciare un racconto ambientandolo in un luogo e in tempi precisi. In proposito, scriverà molti anni dopo in quella che si può considerare una dichiarazione di poetica: “Boccaccio, Manzoni, Wilder, Tostoj, Melville, perfino la Invernizio e un ignoto qualsiasi, preceduti e seguiti da chissà quanti altri, incominciano i loro romanzi con l’indicazione del luogo e del tempo in cui si svolgerà l’azione. Ed è una garanzia, offerta all’inizio, d’aver dei ‘fatti da raccontare’, come al vero narratore s’appartiene, e non delle introspezioni buone solo per l’autore, o peggio ancora delle acrobazie linguistiche, buone per quei lettori che temono, non orecchiandole, di passare per degli incolti”.

Tra i poeti, le sue preferenze vanno a Leopardi, autore che fu, a suo dire, “il dominatore della sua passione per la poesia”, a Dante, Petrarca e Pascoli. Non prova invece particolare simpatia per Carducci e nemmeno per d’Annunzio, nei confronti del quale anzi sviluppa un senso di distacco critico che gli permetterà di scrivere, di là a molti anni, un’ampia biografia del poeta.

Insieme a questo vero e proprio tirocinio letterario sugli autori che gli saranno poi sempre cari, Chiara compie anche, in quegli stessi anni, un non meno proficuo e formativo tirocinio sentimentale frequentando, senza porsi limiti di sorta, ogni tipo di ambiente e ogni specie di umanità e scoprendo, con precoce istinto, l’universo femminile.

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