La vita di Piero Chiara

Piero Chiara Giovane Dopo il diploma, Chiara lavora per qualche tempo in un laboratorio fotografico, a Milano, e poi trascorre quasi due anni a viaggiare: è a Roma e a Napoli, dove soggiorna per alcuni mesi, quindi in Francia, dove trascorre più di un anno. A spingerlo a compiere, “senza un soldo in tasca”, quella che chiamerà “l’avventura francese” è, insieme al bisogno di uscire dai confini di un mondo provinciale che solo poi scoprirà essere il microcosmo in cui è riflesso tutto il mondo, il desiderio di rivivere di persona le esperienze dei suoi compaesani che sono andati a “cercar fortuna” in Francia e che sono tornati a Luino senza soldi, ma ricchi di strabilianti “fatti” da raccontare. È a Nizza, a Parigi e a Lione. Per procurarsi da vivere si dedica a vari mestieri: esattore di affitti, scrivano, aiutante cuoco e fattorino. Nel tempo libero, quando non passeggia senza meta per le strade, legge i grandi autori francesi, di cui compra le opere sulle bancarelle: Villon, Rabelais, Molière, Choderlos de Laclos, Voltaire, Balzac, Flaubert e l’amatissimo Maupassant, Baudelaire, Rimbaud, Verlaine e i contemporanei.

Nel 1932, è di ritorno in Italia. Per accontentare la madre, che vorrebbe vederlo sistemato in un impiego “statale”, partecipa a un concorso bandito dal Ministero di Grazia e Giustizia e vince, piazzandosi centodiciottesimo su centodiciannove, un posto di “aiutante di cancelleria” ed entra come soprannumerario nell’“amministrazione della giustizia”. Inizia la sua carriera alla pretura di Pontebbia nell’Alta Carnia e viene poi trasferito a Aidussina, allora in provincia di Gorizia e ora in Slovenia, e a Cividale. Dopo pochi mesi di lavoro a Cividale, chiede, in seguito a una serie di vicissitudini rielaborate narrativamente, a distanza di oltre quarant’anni, nel romanzo Vedrò Singapore? (1981), un anno di aspettativa per motivi di salute, che trascorre tra Trieste, Venezia, dove, oltre a stringere, secondo quella che sarà una costante della sua vita, brevi ma intense e mai rinnegate relazioni sentimentali, frequenta la Biblioteca “Marciana” – risale a quell’epoca il suo incontro con Giacomo Casanova – e Luino e, infine, ottiene il trasferimento a Varese.

Il lavoro nell’ambito della “giustizia” non lo entusiasma, ma non lo impegna. L’Italia, in quegli anni intorno al 1935, è ormai sotto la dittatura fascista. Chiara, che da tempo per il suo spirito aperto e liberale ha fama di antifascista, subisce intimidazioni e vessazioni e viene espulso dal Partito, cui era stato iscritto d’autorità in quanto dipendente statale, con grave pregiudizio per la sua carriera. Viene infatti “congelato nel grado e nello stipendio”.

Comunque, proprio in quegli anni, approfittando della stessa situazione politica che, alla fin fine, gli consente di chiudersi in se stesso e,

“nei limiti, di pensare e di agire a suo modo”
– L. BALDACCI

Chiara sviluppa e approfondisce la sua “lunga e segreta formazione” di uomo e di intellettuale: una formazione che una volta di più

“non è affidata solo ad intense letture, ma all’esperienza vissuta, giorno dopo giorno, dei moeurs de province, di ambienti, di situazioni, di personaggi”
– E. GHIDETTI

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