La vita di Piero Chiara

Insomma, la stessa vita apparentemente inutile e dispersiva che, impossibilitato a fare altro, conduce trascorrendo i pomeriggi e le serate al caffè, giocando a carte o a biliardo, ascoltando i racconti di persone di passaggio, inventando scherzi e intrecciando varie storie d’amore, contribuisce, non meno delle sue letture di autori classici e moderni, ad arricchirlo di esperienze destinate a dare un giorno i loro frutti sulla pagina scritta. Tra l’altro, è a partire da quegli anni che i suoi interessi culturali si aprono all’arte, con particolare riferimento all’attività degli artisti del Varesotto tra il Seicento e l’Ottocento.

jula scherb Nel 1936, ventitreenne, Chiara conosce e sposa Jula Scherb, una svizzera-tedesca, figlia del responsabile di un istituto ortopedico di Zurigo. Trascorre lunghi periodi a Losanna, a Ginevra e a Zurigo, ma con la giovane moglie ha una convivenza irregolare, nonostante la nascita, a Zurigo nel 1937, di un figlio, Marco. Verso la fine del 1938, di fronte al dissolversi del matrimonio e per sottrarsi alla cupa tensione che domina l’Europa ormai alle soglie di una nuova guerra, decide di partire per la Bolivia. Ma l’invasione tedesca della Polonia, nel settembre del 1939, lo induce a desistere dal viaggio. Da Zurigo, dove è in attesa di raggiungere il porto francese di La Rochelle per imbarcarsi, torna in Italia.

Nell’aprile del 1940, poco prima dell’entrata in guerra dell’Italia, viene richiamato alle armi per un periodo di istruzione e assegnato al 67° Fanteria di stanza a Como. Risale a quell’aprile e al maggio seguente il Diario del ’40, mentre è del periodo tra il luglio e l’agosto un altro testo in forma diaristica, una forma in cui Chiara prende le misure per imparare a fare l’ “io narrante” di un racconto: il Diario per Marco. Nell’ottobre Chiara viene congedato – “dispensato dal compiere il servizio perché sedentario”, scriverà il 25 ottobre 1944 nel Questionario che gli viene fatto compilare a Bellinzona dalla Divisione della polizia, appena giunto in Svizzera – e ritorna a vivere a Varese, al solito impiego. Lo scoppio della guerra segna una svolta decisiva anche per lui.

La guerra, infatti, non solo viene a sconvolgere la pigra vita di provincia in cui Chiara si è ritagliato il suo rifugio e a disperdere, spesso per sempre, gli amici con cui, negli ultimi anni, aveva compiuto le sue esperienze, tra carte, donne e letture, ma, con i suoi orrori, suona come un invito a non rimanere inattivi. Non è certo casuale che Chiara, durante i primi anni del conflitto, venga sempre più accostandosi agli ambienti antifascisti e che su di lui piovano continuamente segnalazioni anonime che lo qualificano come sobillatore, più, a suo dire, per i suoi comportamenti “libertini” che per i suoi discorsi che, quando non suonano disfattisti, risultano anch’essi “immorali”. Non mancano neppure denunce che lo propongono per il confino, ma è a lungo salvato

“dall’intervento di autorevoli fascisti bonaccioni di provincia che divertiva con le sue frottole o che aveva compagni al tavolo di gioco”.
– PIERO CHIARA

Da ultimo, però, il 23 gennaio 1944, per sottrarsi a un ordine di arresto emesso il 21 gennaio dal Tribunale speciale provinciale di Varese “per atti di ostilità verso il Partito Fascista Repubblicano”, è costretto ad attraversare clandestinamente il confine dalla valle della Tresa e a cercare riparo in Svizzera.

piero_chiara_insegnante Il 24 gennaio si presenta alle autorità di Lugano, che avviano le pratiche per riconoscergli lo stato di rifugiato politico. Dal verbale di interrogatorio redatto in francese l’indomani, a Bellinzona, risultano quelle che sono le “colpe” di cui si è macchiato. Nel verbale, infatti, Chiara, dopo aver dichiarato di avere sempre nutrito sentimenti antifascisti, afferma, tra le altre cose, che dopo la caduta del fascismo si è impegnato, in quanto cancelliere, a “far sparire dal Tribunale di Giustizia di Varese tutti i ritratti di Mussolini” e di aver preso posizione contro “il giudice Michele Poddighe, membro del Tribunale fascista provinciale”. Pochi giorni dopo, grazie all’intervento del vescovo di Lugano, Chiara viene accettato come rifugiato dalla Confederazione. Ai primi di febbraio viene trasferito a Lugano, poi, il 24 febbraio nel campo di Büsserach, nella Svizzera tedesca e, nel marzo, in quello di Tramelan, nella Svizzera francese: è lì quando apprende che il Tribunale speciale di Varese l’ha condannato, in contumacia, a 15 anni di reclusione, “per aver, in epoca successiva al 26 luglio 1943, messo il ritratto del Duce nella gabbia degli imputati del Tribunale di Varese, esponendolo alla berlina, derisione e furore popolare”. Nell’agosto, riconosciuto colpevole di aver promosso uno sciopero dalle attività lavorative tra gli internati, viene assegnato al campo di punizione di Granges-Lens. Nel settembre, scontata la pena, passa nella casa per rifugiati di Loverciano, ma ottenuta la liberazione, nel febbraio 1945, va a Zug, al Knaben-Institut Montana, a sostituire l’amico Giancarlo Vigorelli, come insegnante di lettere. Alla fine di agosto del 1945 ritorna in Italia.

Gli anni trascorsi in Svizzera, noti in tutti i particolari attraverso i documenti ufficiali della Confederazione e attraverso un Diario inedito, sono anni importanti per Chiara, che li ricorderà in numerosi racconti e in vari intervent pubblici, colmi di gratitudine per il paese che lo ha accolto e aiutato. Proprio in quegli anni, in Svizzera, dove godette di una sostanziale libertà di movimento che gli permise, tra le altre cose, di andare a Zurigo a far visita al figlio Marco che non vedeva da due anni, Chiara avviò quegli stretti rapporti con gli intellettuali ticinesi e grigionesi che sono alla base del suo esordio letterario e che dureranno fino alla sua morte.

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